Voglio rispolverare il cliché secondo cui le cose più belle avvengono per caso, ed effettivamente è proprio il caso, o forse il destino, che ci ha condotti su quest’isola affacciata sull’Oceano Atlantico, della quale conoscevo a stento l’esistenza fino a due o tre anni fa. Abbiamo infatti deciso di visitare l’isola di Lewis-Harris dopo aver visto un interessante documentario, non mi ricordo sinceramente su quale canale, che parlava di antichissimi monoliti che si trovano sull’isola. Addirittura uno tra i siti preistorici più antichi e significativi al mondo. Sono rimasta talmente colpita da quel servizio che non ho potuto non andarli a vedere di persona.
- 1. Come raggiungere l’isola di Lewis-Harris e dove dormire
- 2. Cosa vedere a Lewis
- 3. Cosa vedere a Harris
1. Come raggiungere l’isola di Lewis-Harris e dove dormire
Sull’isola abbiamo trascorso due giorni interi, il minimo indispensabile per farsi un’idea. Il mio consiglio è di stare magari quattro giorni per poter fare le cose più lentamente, godersi qualche spiaggia e qualche momento di riposo immersi nella natura. Siamo arrivati di notte dopo una giornata bellissima ma infinita trascorsa in auto, per la quale rimando a questo articolo. Per raggiungere l’isola è possibile prendere un volo interno di circa un’ora dai principali aeroporti di Glasgow, Edimburgo e altre città maggiori della Scozia (qui il link alla compagnia aerea scozzese) oppure il traghetto. Questo è certamente il modo più economico, sebbene più lento. Le due destinazioni su Lewis-Harris servite da Calmac Ferries sono Tarbert (Harris) e Stornoway (Lewis). Il nostro piano originario prevedeva di imbarcarci direttamente a Skye e arrivare a Tarbert, ma niente da fare. Fin da quando sono al mondo, se ho un 50% di probabilità tra risposta giusta e sbagliata scelgo sempre quella sbagliata. La tratta Skye-LH era stata momentaneamente soppressa, pertanto l’unica opzione che ci rimaneva era quella di partire da Ullapool, cittadina sulla costa nord occidentale. Si impiegano circa 4 ore per arrivare a Stornoway e non siamo partiti proprio a cuor leggero, poiché eravamo stati in qualche modo terrorizzati dalle esperienze di chi aveva affrontato questa traversata prima di noi e che la descriveva come “un po’ movimentata”. Nonostante tutti i miei scongiuri, il tempo non era dei migliori quel giorno, c’era molto vento e il mare era mosso. Oggi posso dire che non è stato terrificante come mi aspettavo, men che meno pericoloso, ma un po’ di su e giù lo abbiamo fatto. Diciamo che è meglio rimanere seduti perché è possibile perdere l’equilibrio. Terrificante no, ma se si soffre di mal di mare può risultare comunque un’avventura. Quindi grazie al cielo che abbiamo preso la xamamina. Malauguratamente, a questo punto, ne avanzava una soltanto e ce la saremmo giocata per il viaggio di ritorno!



Come dicevo, siamo arrivati di notte, esausti, con i postumi della xamamina (che è probabilmente anche un sonnifero) e i venti minuti, forse meno, che ci distanziavano dal nostro alloggio ci sembravano infiniti. Non so come, ma ce l’abbiamo fatta e, a circa 20 km/h, abbiamo percorso nel buio totale, sotto la pioggia, la single track che, attraverso una campagna disseminata di pecore e con laghi e laghetti dietro ogni curva, conduceva alla nostra temporanea casetta. L’arrivo alla Yurta di Claire è stato un momento di sollievo assoluto. La Yurta in questione è come un monolocale con le fattezze della tenda, con tanto di angolo lettura, cucina, tavolo da pranzo e bagno. Qui abbiamo trascorso tre notti pagando 240€ in totale.
La sistemazione che abbiamo scelto non è stata particolarmente economica ma se mai andrete su L-H scoprirete che non ci sono molte scelte e che il budget è certamente più alto che sulla mainland. Inoltre consiglio di non sottovalutare la posizione dell’alloggio e di sceglierne sempre uno che si ponga quasi nell’esatto punto di incontro tra Lewis e Harris, per spostarsi comodamente in entrambe le parti dell’isola.
2. Cosa vedere a Lewis
La mattina dopo, alla luce del sole, abbiamo subito avuto l’impressione di trovarci in un meraviglioso paradiso dove l’unica parola che ne coglie a pieno l’essenza è pace.
Il primo giorno sull’isola di Lewis-Harris abbiamo percorso un itinerario nel nord. Infatti l’isola si divide nettamente in due parti. Sebbene sia a tutti gli effetti la stessa isola, dal punto di vista della denominazione sono due zone distinte: Lewis a nord e Harris a sud.
Lewis-Harris, la più estesa tra le isole scozzesi, è parte delle Ebridi esterne, un arcipelago scozzese collocato a nord-ovest. Le Ebridi Esterne, nome gaelico Na h-Eileanan Siar, sono composte da una catena di ben 60 isole, non tutte abitate, che si estende per 130 miglia da Nord a Sud. Lewis-Harris è la più estesa, ma risultano d’interesse anche North Uist, Benbecula, South Uist e Barra. La più remota appartenente all’arcipelago è St. Kilda, ormai disabitata e visitabile soltanto con escursioni giornaliere che partono da Lewis-Harris. Lascio solo immaginare il mio dispiacere quando ho realizzato che non mi sarebbe stato possibile andarci.
Già mezz’ora dopo esserci messi in viaggio ci siamo scontrati con il primo imprevisto. Purtroppo durante la prima mattinata c’era stato un incidente a causa del quale avevano chiuso la strada che avremmo dovuto prendere per raggiungere le prime tappe della giornata. Tale strada è anche l’unica che collega l’estremo nord con il resto dell’isola e sarebbe rimasta chiusa per tutto il giorno. Un pochino delusi, ma ormai abituati a simili scenari, abbiamo rinunciato ad alcune tappe. Con il senno di poi è stato megliocosì, perché come al solito avevo inserito troppi punti nella lista delle cose da fare.
Ricalcolato il programma, abbiamo iniziato con una visita alle Blackhouse di Arnol, un piccolissimo villaggio dove si conserva un sito museale fondamentale per entrare a contatto con l’essenza delle Ebridi Esterne (ticket 7,90€).
Qui è possibile ammirare delle ex abitazioni tipiche dell’isola, appunto le Blackhouse. Queste case furono così soprannominate in tempi moderni poiché in contrasto con le nuove tipologie di abitazioni in muratura di colore bianco. Le Blackhouse erano scure, o meglio annerite, perché al centro dell’abitazione rimaneva sempre acceso un fuoco intorno al quale si riunivano le famiglie per stare insieme e condividere momenti di convivialità. Lasciare il fuoco incustodito era vietato. Gli altri ambienti della casa invece erano meno frequentati poiché tutto gravitava intorno al cuore dell’abitazione. Non appena si varca la soglia di una Blackhouse, colpisce subito le narici il forte odore di legna arsa, il quale permea ogni angolo della casa e gli immediati dintorni. Sebbene ormai disabitate e riconvertite in museo, ancora oggi viene realmente tenuto acceso il fuoco durante tutto il giorno per mostrare ai visitatori come funzionava. Le Blackhouse erano inoltre prive di finestre coi vetri e porte con le ante; tutto era aperto in modo tale da arieggiare ed eliminare il rischio di soffocamento costituito dal fumo. La cosa più sorprendente è però che le Blackhouse sono state abitate fino al 1964! Praticamente un universo fermo nel tempo, un mondo immutato, fatto di antiche e perpetue tradizioni, lontano dalla modernità.




Risaliti in auto, ci siamo diretti verso le prime spiagge che abbiamo visitato durante questo viaggio. L’isola infatti è famosa per alcune fra le spiagge più belle d’Europa e sicuramente del Regno Unito.
La prima spiaggia che abbiamo “visitato” è stata Mangersta Beach. Più che altro ci abbiamo provato. Perché le persone normali se piove rimangono a casa, io invece devo portare a termine i miei programmi a ogni costo. Non troppo convinto, ma determinato a compiacermi dato che eravamo in vacanza, anche Carlo è sceso con me dalla macchina per affrontare il vento che soffiava a 200 km/h. Mentre tentavamo di goderci il paesaggio con i volti già completamente avvolti in un bozzo di capelli, ha cominciato amche a grandinare. A quel punto non potevo più dire nulla; il dolore del ghiaccio sul viso mi ha convinta ad abbandonare la causa. Ho gettato un paio di sguardi malinconici e struggenti a uno dei paesaggi più belli al mondo e siamo tornati correndo verso la macchina. Questo è esattamente quello che ho in mente quando penso a una vacanza. Mi piace così.


Il bello di luoghi come la Scozia, e quindi di tutti quelli che generalmente sono meta dei miei viaggi, è l’imprevedibilità e la maniera repentina con cui cambiano le condizioni meteo. Si potrebbe dire quindi che le cose fanno sempre in tempo a peggiorare, ma anche a migliorare. Infatti, nella breve distanza tra la spiaggia di Mangersta e la destinazione successiva, il vento si era placato e la grandine aveva cessato di cadere. Siamo presto arrivati a Uig Bay, un posto veramente surreale, dove le spiagge, sconfinate distese di sabbia argentata su cui si riflettono le nuvole, riempiono le insenature della costa. L’acqua le bagna senza riempirle, insinuandosi sotto forma di rigagnoli e grandi pozzanghere. È strano guardare una spiaggia alla fine della quale non c’è il mare, bensì altra terra. La vastità di queste spiagge mi ha ricordato molto le Normandia coi suoi centinaia di metri di battigia.
Oltre ad essere incantevole la Uig Bay è molto famosa anche per il ritrovamento di alcune pedine di scacchi risalenti all’epoca vichinga. I pezzi degli scacchi che provengono dalla Uig Bay sono quelli che hanno direttamente ispirato la scrittrice di Harry Potter J K Rowling per la scena in cui si gioca la famosissima partita a scacchi nel primo episodio della saga. I pezzi degli scacchi, non sono giganti come nel film, sono grandi circa 5 cm e si conservano nel museo di Stornoway. Vicino alla spiaggia potrete però ammirare una grande scultura in legno intagliato che riproduce uno dei personaggi degli scacchi. Davvero bellissima!




All’ora di pranzo era finalmente arrivato il momento di visitare il posto che era stato motivo del nostro viaggio sull’isola e forse in generale di quello in Scozia: i menhir di Callanish. Questi menhir sono pietre antichissime risalenti a 5000 a anni fa e costituiscono, come anche molti altri siti analoghi, testimonianza preziosa di popoli antichi e dalle conoscenze scientifiche decisamente avanzate. Nel Regno Unito si trovano ben 300 luoghi simili a questo, i cosiddetti Standing Stones Circles, ovvero pietre giganti, megaliti, posizionati in piedi con significati spesso misteriosi. La disposizione può cambiare, da quella a croce a quella circolare, legandosi a motivi religiosi e astronomici. Tutti conoscono Stonehenge in Inghilterra, ma si pensa che Callanish sia addirittura più antico. Non si sa perché siano state erette le pietre di Calanais, ma l’ipotesi più accreditata è che si trattasse di una sorta di osservatorio astronomico. Patrick Ashmore, che ha rinvenuto le pietre all’inizio degli anni ’80, ha scoperto che ogni 18,6 anni la luna si abbassa particolarmente sulle colline. Le pietre di Callanish (o Calanais) sono disposte a croce e guardano dall’alto della collina la bellissima campagna delle Ebridi. Non ho alcuna nozione di preistoria e antiche civiltà, ma il potere attrattivo di questi insiemi di pietre e la sacralità che sprigionano, mi hanno colpita molto, tanto da inserirne un altro anche nel prossimo viaggio che mi attende in primavera in Inghilterra.
Il sito di Callanish è aperto tutti i giorni 24 ore al giorno ed è ovviamente gratuito. Per chi cerca una visita più completa, c’è il centro visitatori dove si approfondisce la storia delle pietre in una piccola esibizione; il biglietto costa 4,50€.



Il nostro itinerario si è chiuso con una visita pomeridiana della città di Stornoway che, come ho accennato, è la città principale. Diciamo pure anche l’unica città vera e propria, delle Ebridi Esterne. Stornoway e piccola ma c’è molto da fare per riempire tranquillamente una mezza giornata; sicuramente è più grande e ci sono più cosa da vedere che a Portree sull’isola di Skye. Prima che chiudesse abbiamo visitato il museo che si trova all’interno del Castello della città, il Museum Nan Eilean. Il museo è a ingresso gratuito e lo consiglio assolutamente poiché è un’ottima occasione per apprendere qualcosa sulle Ebridi Esterne: le varie tradizioni, la storia geologica, le discendenze vichinghe, l’importanza del gaelico, nozioni varie su fauna e flora, come si è vissuto sull’isola nei secoli e così via.
Come dicevo, nel museo si conservano anche i pezzi degli scacchi vichinghi di Uig. Questi si presume che siano stati realizzati da più di un artigiano in un laboratorio a Trondheim, in Norvegia. Vi sono poi molte storie locali riguardo al rinvenimento degli scacchi, ma rimane in realtà un mistero chi effettivamente li ritrovò e precisamente quando. Si sa che precedentemente si trovavano esposti a Edimburgo. Infatti esistono molti più pezzi, esposti in diversi musei in scozia; sei sono adesso nel Museo Nan Eilean. La visita, che prende circa 45 minuti, consente anche di sbirciare alcune sale del Castello, che però non hanno una particolare rilevanza artistica o architettonica. Il lato migliore dell’edificio si osserva all’esterno. Quello che vediamo oggi è il frutto di una sostanziale modifica apportata a metà Ottocento da James Matheson, il quale acquistò l’isola di Lewis per oltre 190.000 sterline dai Mackenzie che erano in bancarotta. Matheson demolì il fortilizio preesistente per costruire una dimora magnifica. Parte di questo progetto sono anche i giardini che separano il castello dal porto.



Dal castello, in pochi minuti d’auto, ma volendo anche a piedi, si arriva nel centro della città. Stornoway è molto pittoresca grazie al suo antico porto e i pescherecci che fanno su e giù, le reti dei pescatori ordinatamente sistemate sui moli, e diverse sculture disposte qua e là. Le statue in ferro e bronzo rappresentano lavoratori come pescatori e venditori di pesce e animali locali come la foca e il cervo.





Prima che facesse buio siamo tornati al nostro piccolo e bellissimo monolocale nella yurta per rilassarci e riprenderci dal freddo e dal vento. Non abbiamo cenato fuori, ma abbiamo deciso di uscire dopo cena per prendere una birra in centro a Stornoway. In città ci sono tre o quattro pub, noi abbiamo passato la serata al The Crown Inn, che vanta una selezione di oltre cento tipi di gin, incluso ovviamente quello locale, l’Harris Gin.
3. Cosa vedere a Harris
Il sud dell’isola è completamente diverso. Sembra effettivamente di trovarsi da tutt’altra parte; forse per questo l’isola porta il doppio nome.
Quel giorno siamo stati fortunati e abbiamo trovato un tempo abbastanza buono che ci ha permesso di completare il programma. Il nostro alloggio distava circa un’ora un’ora e mezza da Tarbert, la cittadina di riferimento a Harris. Lungo la strada è stato tutto un “wow”, “incredibile”, “ma guarda che meraviglia” e di conseguenti soste, una delle quali giustificata dalla presenza di un gruppo di cerbiatti che ancora si godevano le prime ore di luce del mattino.
Tra le fermate improvvisate c’è stata quella in un posto veramente sperduto, Drinishader, dove è possibile visitare un piccolo museo dedicato alla fabbricazione dell’Harris Tweed, il famoso tessuto di lana che si produce in Scozia. Attraverso un piccolo e accurato allestimento, si illustra la tessitura del tweed, che in gaelico si chiama Clò Mor, un’antica tradizione artigianale che si tramanda da secoli. Il museo è aperto più o meno sempre, fuorché la domenica, ma non c’è personale, perlomeno non quando ci siamo stati noi. Tutto si basa sulla buona fede e il rispetto dei visitatori. È stato molto bello trovare un luogo tanto interessante e, a mio avviso, anche importante, completamente lasciato ad uso dei visitatori. E quanti ne potranno mai arrivare? Forse uno due al giorno. Pertanto qualcuno si limita ad aprire la struttura la mattina e richiuderla nel pomeriggio senza dover rimanere a presidiare.



A pochi chilometri da qui si trova una strada meravigliosa che si snoda per alcune decine di chilometri tra piccoli fiordi, insenature, dolci scogliere, montagne e un’infinità di laghi che sarebbe impossibile contare e che spesso si confondono con il mare. La strada è la A859 che va da Tarbert a Rodel lungo la costa sud occidentale. Si può decidere di percorrerla avanti e indietro, oppure di fare un anello e tornare verso Tarbert da un’altra strada senza nome che accarezza la costa orientale della penisola di South Harris. L’intero giro della penisola prende circa 3 ore ed è senza dubbio imperdibile.



La A859, nome d’arte Golden Road, è così chiamata poiché è un susseguirsi di spiagge da sogno, fatte di sabbia dorata e acque turchesi su cui si innalzano gli arcobaleni. Percorrere questa strada richiede una certa lentezza, una predisposizione allo svago mentale e di essere pronti a fermarsi ogni cinque minuti, anche solo per rimanere a fissare l’orizzonte, le centinaia di sfumature della natura, lo scintillio della luce del sole sull’acqua, ad ascoltare le onde e il vento che ulula. Dico sempre che andare al mare non mi piace. Vedo il mare dalla finestra di casa mia, ci sono letteralmente cresciuta al mare. Ma il concetto di balneazione mi risulta intollerabile, quello che porta con sé la confusione, l’eccessiva presenza antropica, il cemento, il sudore. Che il mare non piaccia penso sia impossibile, il mare piace anche a me, ma è quello della Scozia, della Groenlandia o dell’Islanda; è il mare d’inverno quello che mi lascia sempre senza parole e sempre con un accenno di lacrime agli occhi.



Partendo da Tarbert, le spiagge dove assolutamente fermarsi sono Luskentyre, Seilebost, Horgabost e Scaristra, ma scoprirete che le possibili deviazioni verso il mare sono moltissime e improvvisabili.
Sulla punta sud di Lewis-Harris si trova il villaggio di Rodel. Qui merita una sosta la chiesa di St Clement’s, un edificio di raro fascino. La chiesa è molto antica: fu costruita nel 1520 come luogo di sepoltura per il clan MacLeod, che controllava, oltre che Dunvegan sull’isola di Skye, anche le Ebridi Esterne. Molte delle lapidi originali sopravvivono ancora oggi; alcune si trovano nella chiesa. St Clement’s cadde in rovina dopo la Riforma Protestante del 1560. Fu poi ricostruita e restaurata più volte nei secoli a venire. Semplicità, austerità e una vista drammatica, rendono questo posto semplicemente magnifico.







Da questo punto la strada si fa ancora più selvaggia e si insinua tra basse montagne e insenature molto frastagliate. La costa sembra essersi frantumata in mille pezzi e l’acqua blu zaffiro riempie ogni solco, alle volte sotto forma di lago, altre di fiordo. Isolotti e scogli di ogni forma e dimensione sbucano ovunque. Fra le brevi soste più belle c’è sicuramente Finsbay, dove abbiamo sorpreso a sonnecchiare alcune foche.



L’ultima tappa della giornata la cittadina di Tarbert, che vale un visita per due cose prevalentemente: la distilleria dove producono il celebre Harris Gin e il negozio dove si vende il tweed al metro. Bene, un consiglio prezioso per chi ama la lana: preventivate alcune centinaia di euro per acquistare stoffe e prodotti in tweed, tutti bellissimi e cari all’inverosimile. Non essendomi preparata, ho dovuto accontentarmi di un portafogli da 30€.
La Tarbert Distillery offre numerose opportunità di tour e degustazioni; noi, come sempre, abbiamo evitato. La ricetta del gin è resa particolare dall’utilizzo dell’alga kelp e altre specie botaniche presenti sull’isola.
A questo punto ci preparavamo a tornare alla yurta, con una punta di nostalgia nel lasciare la mattina seguente l’isola di Lewis Harris, che ci ha irrimediabilmente rapito il cuore.



L’articolo mi è piaciuto molto perché è autentico, inoltre la destinazione, che non conoscevo, è da tenere in considerazione!
Grazie mille! Mi fa piacere che ti sia piaciuto 🙂