Non è poi così frequente che torni in luoghi già visitati, la lista dei desideri è quasi infinita, quindi diventa difficile tornare più volte in un posto, sebbene di molti mi sia letteralmente innamorata. In questo articolo però oggi vi parlo del mio posto, il mio preferito al mondo e nel quale, come una sorta di periodico pellegrinaggio, torno ogni anno quando riapre le sue porte in primavera. Quest’anno purtroppo, a causa della difficile situazione che ha colpito il mondo intero, non potrò farlo, così ho deciso di tornarci parlandovene e sperando che appena la situazione tornerà alla normalità possa ispirare qualcuno per una insolita gita fuori porta.
Ho scoperto il Giardino di Daniel Spoerri a Seggiano (GR) per la precisione il 13 settembre del 2015, mentre conducevo le mie ricerche di tesi; quella prima volta l’acqua veniva giù a fiumi dal cielo, ma con l’ombrello alla mano, accompagnata da mia mamma, ho affrontato la lunga visita al parco; come dicevo, dopo quella volta sono tornata diverse volte, ogni anno con amici diversi, l’ultima il 1° maggio del 2019 con Carlo, Francesca, la sua amica Federica e Michele, il mio coinquilino.

Come raggiungere il parco e info pratiche
Lungo la strada che da Arcidosso si estende fino alle vette dell’Amiata, alle falde della montagna, si apre improvvisamente sul ciglio della strada uno spiazzo nel quale si erige un cancello sormontato da una scritta rossa in latino che recita Hic Terminus Haeret. Si può raggiungere il parco di sculture di Spoerri dalla via Cassia (Ss2) prendendo l’uscita Castiglione d’Orcia in direzione Castel del Piano (Sr323). Circa 1 km dopo Seggiano, deviando a sinistra verso Pescina-Campo Sportivo, l’ingresso del parco si apre dopo 300m sulla nostra sinistra.
Il biglietto intero ha un costo di 10€ ed i tempi di visita sono molto lunghi, sebbene variabili. Non avrebbe senso trascorrere meno di tre ore nel Parco, ma credo che l’ideale siano cinque ore. La tenuta è provvista poi di bar e ristorante, nel caso ci si voglia trattar bene per la pausa pranzo. Fin’ora io ho sempre optato per un pic-nic sul prato perché non mancano i luoghi in cui fermarsi per uno spuntino all’aria aperta.
Nella villa antistante la biglietteria si trovano poi degli appartamenti molto ben tenuti e con viste straordinarie sulla campagna toscana, quindi, qualora lo si volesse, è possibile anche trascorrere la notte in questo posto stupendo.
Il percorso di visita
L’intero percorso è un intricato sistema di rimandi e riferimenti: fra le opere stesse, fra varie tematiche e agli episodi dell’intera vita dell’artista. Al parco non viene fornita una guida che spieghi le opere, né tanto meno il senso del percorso, soltanto una mappa per cercare le sculture. La Fondazione ha di recente rinnovato il proprio volto, rimesso a nuovo i casolari, la biglietteria e rimodernato il sito internet, sul quale si trovano approfondimenti per ogni singola opera e artista. Qui però cercherò di compattare un po’ di utili informazioni alla visita per chi voglia fare questa vera e propria escursione e di darvi qualche chiave di lettura.
Osservando la piantina della tenuta si vede subito che le opere sono disposte senza un criterio preciso; è una vera e propria caccia alla scultura; ognuno è libero di crearsi il proprio percorso, fatto che inizialmente un po’ disorienta: non si sa se tornare verso il cancello, oppure scendere le scale sulla sinistra, oppure proseguire sul sentiero di fronte. È un posto che pretende attenzione, per non farsi sfuggire nessuna delle 113 opere. Sarebbe impossibile trovarle tutte senza la mappa, visti i 17 ettari di parco, e destreggiarsi autonomamente fra i campi, i tortuosi sentieri, le coltivazioni di olivi e le aree boschive. Parallelamente al percorso artistico poi troverete anche un percorso botanico. Molte piante sono affiancate da cartellini su cui è riportato il nome in italiano, tedesco, latino e dialetto, e in aggiunta alcune informazioni sul loro utilizzo. Il senso di tutto questo è che vi sia rispetto reciproco fra le opere e fra l’arte e la natura, senza che l’una si noti più dell’altra.
Il Giardino è stato fondato dall’artista rumeno/svizzero Daniel Spoerri nel 1997 ed è una realtà paradossalmente poco conosciuta, sebbene legata ad un nome assai noto nello scenario dell’arte. Si tratta di un un luogo segreto, volutamente poco appariscente agli occhi del mondo, che si mimetizza con una natura arcaica e selvaggia e crea con essa un connubio ineguagliabile. Tratto caratteristico è infatti il non apparire a primo impatto come un luogo d’arte: la vegetazione è ciò che più colpisce, la sensazione è di trovarsi in una semplice tenuta di campagna, dove i boschi, gli uliveti e le coltivazioni si alternano come si è abituati da secoli a figurarsi e a raffigurare il paesaggio toscano. Inoltre, la funzione originaria è mantenuta: qui si coltivano prodotti alimentari, olio, grano e ortaggi, che poi vengono consumati dagli ospiti. Infatti, uno dei più importanti temi e fili conduttori fra le opere è il ciclo biologico vita – morte di tutti gli esseri viventi e con esso l’atto del nutrirsi, perciò il cibo; lo stesso ristorante qui non ricopre solo la comune funzione di servizio museale, ma è proprio un rimando alla corrente artistica della Eat Art.
Il Giardino poi si fa summa e sintesi dell’intera vita di Spoerri: le opere richiamano a molti episodi biografici e soprattutto sono state realizzate, ed in molti casi donate, dalle persone che per lui sono state importanti. Essendo molte le sculture anche dello stesso Spoerri, egli si fa collezionista di se stesso e del suo entourage di amici artisti.
La visita al parco è un viaggio, fisico e ideale, già preannunciato dal motto scritto sul cancello d’ingresso: Hic terminus haeret. Letterariamente è una citazione dall’Eneide di Virgilio, ma il vero significato di questa frase è Qui aderiscono i confini, la quale porta con sé un doppio significato. Si tratta infatti sia di confini fisici volutamente marcati da installazioni scultoree che formano ponti e veri e propri passaggi da oltrepassare a piedi, sia attraversamenti immateriali che conducono idealmente all’aldilà. Molte opere infatti rappresentano teschi, lapidi e ossessivi rimandi alla morte. Dovrete destreggiarvi quindi in un mondo onirico, popolato da mostri, luoghi assurdi e inquietanti, labirinti, giochi d’acqua e creature meravigliose che possono in ogni momento balzar fuori all’improvviso, tratto tipico, fra l’altro, di molti giardini del Rinascimento italiano, come il Parco dei Mostri di Bomarzo (a soli 127 km) e i Giardini di Boboli.
Ultima nota interessante è che la stessa collezione è da ritenersi viva, dando continue ragioni per tornare, poiché il parco è una vera opera in progress, accogliendo ogni anno nella collezione una o più nuove sculture.









